Monte Lampazzo e monte Schiena di Cavallo

Da Pescasseroli per la val Cavuto, un anello nelle cime solitarie del parco a cavallo tra il versante del Sangro e quello di Vallelonga, rientro sulla dorsale dello Schiena di Cavallo e per la valle omonima.

Ambiente invernale, nuvole basse e nere, pioggia, intorno ai 2000 mt mista a neve, vento teso freddo, una anello quasi "al buio", orizzonti inesistenti, di questa pazza primavera solo le tante fioriture ed il verde sfavillante della vegetazione.


Questa volta, per tutto questo week end, ci siamo concessi il parco nazionale d’Abruzzo, siamo riusciti a aprirci una parentesi e prenderci una pausa, ci siamo regalati un po’ di montagna, siamo andati a fermare il tempo così come piace a noi, a zonzo in un paesino dell’Appennino, a mangiare e bere bene e a provare a scaricare le tensione con una bella e conclusiva escursione. Da tempo avevo progettato diversi percorsi con epicentro Pescasseroli ed il prossimo doveva essere il week giusto per iniziare a realizzarli, l’unico che si incastrava tra altri fatti di impegni e doveri; giustamente, in coerenza con quanto ultimamente ci sta accadendo e con questa primavera travestita da inverno tardivo, le previsioni meteo non promettevano nulla di buono, anzi mutavano di giorno in giorno e a confermare la spiccata variabilità del periodo ad un Sabato piovoso era prevista una Domenica a tratti soleggiata, forse con ampi momenti soleggiati e pochi rischi di pioggia ma sempre con fortissima e pericolosa variabilità. E’ finita come “era logico” che finisse, il Sabato con l’ombrello in giro per Pescasseroli, e la Domenica, già dalle prime ore della giornata, con cupi, compatti e minacciosi nuvoloni che non lasciavano intravedere le creste oltre i 1600 mt e che non lasciavano molta speranza. Non ci siamo lasciati scoraggiare, alla fine è stato un bellissimo week end; per le strade di Pescasseroli solo i fiori sui balconi delle case e le gemme sugli alberi parlavano di primavera, il clima e non solo quello atmosferico, parlavano il dialetto invernale; i camini fumavano, nei locali i riscaldamenti andavano a tutta e per le strade era un tripudio di giacche a vento e di piumini. Il pomeriggio del Sabato il cielo si è andato ulteriormente chiudendo, solo le app delle previsioni meteo a cui le nostre speranze si erano ormai aggrappate, continuavano ad assicurare ampie schiarite per il giorno successivo ma le ultime luci della sera, anticipate dai densi e bassi nuvoloni, erano foriere di tutta un’altra storia; non rimaneva che prepararci, essere pronti per il giorno dopo, andare a letto e sperare. Ore sette meno dieci della Domenica, apro la finestra della nostra stanza e manco la cima del monte delle Vitelle si riusciva a vedere, aveva piovuto fino a pochi minuti prima, era da lasciare ogni speranza ancor prima di cominciare. Però non pioveva più e questo ci bastava, caparbi e contro tutto e tutti siamo andati a far colazione convinti di iniziare l’escursione programmata e poi … che fosse andata come doveva, il bisogno di camminare sui sentieri e di stare all’aria aperta in mezzo al bello era più forte di tutto. Ovviamente delle tante escursioni che avevo pensato intorno a Pescasseroli ci siamo concentrati su quella più breve, era meglio assicurarci la ritirata più veloce possibile, le mete dovevano essere monte di Valle Caprara e monte Schiena di Cavallo, li avremmo raggiunti per il vallone Cavuto con rientro per la cresta Sud del monte Schiena di Cavallo stesso o per il vallone omonimo, un giro di circa 13 km ed un dislivello di poco più di 1000 mt, riuscire completarlo sarebbe stato un grande successo, visti i presupposti. Parcheggiamo nello spiazzo accanto al laghetto di servizio degli impianti di sci, poche centinaia di metri prima della fine della strada da dove partono gli impianti stessi, alle 8 siamo con lo zaino in spalla, costeggiamo la rete che protegge il laghetto e ci infiliamo nello stretto imbocco del vallone, la presenza di una tettoia in legno del parco, anche se priva di indicazione, una palina a terra con la bandierina CAI ed altre due bandierine sui roccioni dell’imbocco della valle non creano dubbi su quale fosse la direzione da prendere, quota di partenza 1220mt; occorre invece prestare attenzione subito dopo l’imbocco della valle, si cammina dentro lo stretto e pietroso letto del fosso, accanto a due grossi tubi scoperti che portano acqua al laghetto, dieci metri dopo l’imbocco un evidente sentiero si stacca sulla destra ed inizia a salire, richiama decisamente l’attenzione ma non va preso, si deve continuare dentro il fosso, una ventina di metri più avanti, sul muro di contenimento delle piene, una bandierina bianco rossa indica la via giusta. Il sentiero continua a snodarsi a fondo valle, nel primo tratto ampia, di qua e di là dall’alveo del piccolo fosso che raccoglie le acque, ora assenti del tutto o quasi, puntuali e frequenti bandierine CAI rifuggono ogni perplessità qual ora ne dovesse sorgere qualcuna. La vegetazione che si alza ai lati, la prateria che copre il letto della valle ed il tetto della rada boscaglia che la copre sono di un verde sfavillante, quasi luminoso nonostante l’uggiosa giornata; per una mezz’ora dopo la partenza si continua a camminare quasi in piano, si sale gradualmente e senza fatica, intorno ai 1350 mt la valle si restringe repentinamente, il sentiero si alza per qualche tratto sulla destra del fosso che ora forma una stretta valle, quasi una forra; roccioni a strapiombo, le montagne ai lati scendono ripidissime, il bosco è fitto e toglie luce nello stretto passaggio, si è fatto quasi buio e nonostante questo l’umidità dell’aria, la pioggia della notte e del mattino esaltano i colori, il verde delle foglie, il bruno ruggine di quelle cadute a terra vengono esaltati e spiccano di riflessi accesi, la neve, che coperta dalle foglie è rimasta in alcune nicchie della forra sembra emanare luce propria; il sentiero scende continuamente dentro e fuori il letto del fosso, risale i sui argini per superare stretture impervie, fino intorno ai 1450 mt saliamo in un contesto suggestivo come questo, dove anche i rumori sono attenuati; una natura davvero dirompente, colori ammalianti, un anfratto magico. La forra si allarga, il fosso tende a destra, verso gli scoscesi boschi che scendono dal monte di Valle Caprara, il sentiero invece prende ad inerpicarsi con ampi tornanti dalla parte opposta, sul meno ripido versante dello Schiena di Cavallo, forse siamo già sotto il monte Lampazzo; il bosco diventa importante, alcuni faggi sono maestosi, le nuvole che si fanno strada tra gli alberi immobilizzano la scena, se incontrassi un hobbitt non mi stupirei, se vedessi spuntare Guglielmo da Baskerville con suo discepolo nemmeno, bellissimi e immobili istanti, nonostante le prime gocce di pioggia che iniziano a scendere. In pochi minuti è pioggia vera tanto da costringerci ad indossare i gusci e coprire gli zaini, copro anche la macchina fotografica, è meglio. Saliamo ai 1700 mt di Sella Lampazzo in queste condizioni, sotto una pioggia insistente ma moderata, con lunghi traversi e poca pendenza, ci si arriva senza strappi, accolti da una luce diffusa che lentamente va aumentando e da una vegetazione che altrettanto lentamente si va diradando, uno spiazzo erboso lascia il posto al bosco, una tettoia in legno, ancora senza indicazione alcuna (a parte le bandierine lungo il percorso e comunque molto probabilmente frutto del lavoro del CAI di zona, l’ente parco è decisamente latente), sta a sancire ufficialmente la sella, siamo a quota 1740 mt, sono passate poco meno di 2 ore dalla partenza. Riconosco comunque il posto, un paio d’anni fa la raggiunsi con Giorgio e Giacomo, provenienti da Rocca Genovese eravamo diretti a monte di Valle Caprara. E’ come se fossimo nel fondo di un grigio catino, intorno a noi il nulla, una cappa a tratti buia copre ogni cosa e confonde perfino gli alberi intorno; le nuvole fitte, la pioggia insistente, rinunciamo a salire il monte di Valle Caprara, una breve ma ripida salita di circa 250 mt, senza riferimenti o sentieri, si sarebbe rivelata solo una improduttiva faticaccia senza ricevere in cambio la soddisfazione dei grandi orizzonti che da lassù si possono godere. Era anche più prudente contenere l’escursione, il meteo non accennava a migliorare, era inutile dilungarsi e ripieghiamo vero il monte Lampazzo. Gli orizzonti rimangono brevi e nulli, ci può aiutare solo la carta che comunque avevamo abbondantemente studiato, mi affaccio sulla spianata sottostante, un muro grigio ancora, per poco continuiamo sul sentiero principale, ma davvero per pochi metri, al primo accenno di dorsale che scende dall’alto (sulla sinistra e 50 mt circa dopo la tettoia di Sella Lampazzo) la imbocchiamo e prendiamo a salire, senza traccia, a senso e limitandoci a seguire le linee di salita migliori. Dopo 20 minuti dalla sella usciamo dal bosco, siamo già a pochi metri dalla vetta del monte Lampazzo che ci accoglie quasi all’improvviso con un piccolo ometto, un mare di viole e niente altro; per pochi attimi compare la sagoma di monte di Valle Caprara, un attimo dopo la valle più in basso, alle pendici di Rocca Genevose, dove scavallando verso Nord si imbocca la Val Cervara, poi più niente. Nuvole e vento, ed ora fa anche freddo. Giusto il tempo per un paio di foto, solo per ricordarci del momento perché saremmo potuti essere ovunque e riprendiamo sulla linea di cresta verso la piccola sella sottostante; davanti, verso Ovest, tra la nebbia si confonde la sagoma della dorsale che sale allo Schiena di Cavallo. Centotrenta metri ci dividono dalla vetta principale, una ripida e bella dorsale che ci viene completamente negata, un gran peccato essere immersi in queste scure nuvole, non vedevo l’ora di studiarmi il territorio da questa cima ma tanto è, e non rimane che salire, anche in fretta visto il freddo boia che si va facendo nel frattempo. La pioggia si trasforma in gocce pesanti, portate dal vento e fanno rumore quando ci colpiscono sui gusci, con sorpresa diventano presto neve, acqua pesante, solida, in questo pazzo Maggio incredibilmente sta nevicando, quasi a quota 2000 siamo stati accolti da una debole fugace nevicata. Da raccontare ai nipoti. La dorsale attraversa un rado bosco, ci si districa tra basse rocce sporgenti a faggi cespugliosi, seguiamo un profilo di qualcosa che ci sembra una traccia, poi i segni di vernice bianco azzurra sulle roccette la elevano decisamente al rango di sentiero, anche se davvero non si potrebbe salire diversamente. Il bosco è breve, dove la dorsale inizia a salire con più decisione e sempre più stretta diventa ancora più rocciosa, quasi non ce ne accorgiamo quando tra le nuvole compare un grosso ometto di pietre su cui è posta una croce con tanto di targa. Sono le undici meno un quarto, 3 ore e 45 minuti dalla partenza, 1 ora da Sella Lampazzo 250 mt più sotto e 30 minuti da monte Lampazzo 130 mt più giù, abbiamo finito di salire, 750 mt è stato il dislivello fino ad ora, il resto sarà solo discesa. Il tempo di alcune foto, stavolta croce e targa testimoniano dove siamo e riprendiamo ad abbassarci sulla via del ritorno, ed in fretta perché vento ed un misto di pioggia e neve non smettono di flagellarci; seguiamo la dorsale verso Sud, nonostante il momento sia davvero affascinante con un’atmosfera da pieno inverno ribadisco che è davvero un gran peccato non vedere nulla attorno, chissà se mai ci ritornerò su questa vetta. Molto sassosa anche questa dorsale, scende con gradualità, è solo difficile districarsi tra le tante rocce sporgenti; un po’ sotto, e finalmente anche al riparo dal vento, ci fermiamo per dare un occhio alla carta e decidere come chiudere l’escursione. L’opzione che avevo in testa era quella di seguire interamente la dorsale, per un lungo tratto scoperta e poi dentro il bosco; sulla carta una traccia secondaria, a quota 1830 mt, devia sulla destra, dentro il vallone di Schiena Cavallo, decidiamo di seguirla, il problema era solo quello di riuscire ad intercettarla in questo nulla assoluto. Non è stato difficile farlo, è non è servito tenere sotto controllo l’altimetro, intorno a quota 1900 le nuvole si sono diradate quel tanto che è bastato per avere degli scorci sulla dorsale e fino a valle, a tratti fino a Pescasseroli; il traverso della traccia era ben marcato, raggiungeva la dorsale nei pressi di una evidente chiazza di neve, faccio un fermo immagine nella mia mente e cerco di memorizzare la zona, le nuvole avrebbero potuto anche richiudersi. Le nuvole si sono richiuse e la traccia l’abbiamo imboccata, il vento non soffiava più forte e non avevamo più nemmeno fretta, perdo tempo a fotografare dei bellissimi esemplari di giglio sambucino, di Valeriana, e di Saxifraghe che spuntano tra le rocce. Il traverso che dalla dorsale scende diritto raggiunge il fondo valle a quota 1700, in un crocevia di marcati sentieri; ne prendiamo uno a sinistra, il meno evidente, nemmeno riportato sulle carte, che si mantiene sullo stesso versante della valle, sul lato dello Schiena Cavallo, fila con leggera pendenza per poche centinaia di metri nel pratone della valle per infilarsi poi nel bosco; tanti cambi di pendenza, qualche tratto ripido e scivoloso, scende alto di fianco al fosso incassato giù in basso, il vallone di Schiena Cavallo è meno interessante del parallelo vallone Cavuto. Non rallentiamo più, non siamo bagnati, i gusci hanno fatto il loro dovere, ma la pioggia quasi incessante e che nel frattempo ha ripreso a scendere più intensa ci ha fatto entrare l’umidità nelle ossa; voliamo dentro il bosco, rischiando anche qualche scivolata. Ne usciamo quasi a mezzogiorno, all’altezza della struttura della sciovia della pista baby, attraversiamo il pratone e rimane difficile uscire dai recinti delle piste, sfruttando un punto della rete di recinzione quasi divelto, poggiamo i piedi sull’asfalto del piazzale, dieci minuti ancora e saremo alla macchina, un’ora e venti minuti dalla vetta di Schiena Cavallo, quattro ore per chiudere l’intero anello. La soddisfazione di aver chiuso il percorso e di aver saputo osare a dispetto di tutto è mitigata solo dall’aver perso gli orizzonti del parco; le atmosfere del bosco che abbiamo attraversato, quelle della dorsale battuta da un forte vento con pioggia mista a neve hanno comunque ripagato a sufficienza. Anche giornate come queste fanno parte della montagna, forse sono proprio queste giornate a parlare più forte di montagna; e poi la davanti ci sono le Serre della Cappella, c’è il monte della Corte, e poi là dietro c’è Vallelonga che Marina non conosce, ci sono monte Marcolano e Rocca Genovese, c’è la Val Cervara, tutte montagne e valli che facevano parte delle altre opzioni per questa giornata. Sarà bello ritornare. Ah… come al solito non può mancare nel mio racconto la nota eno-gastronomica: a Pescasserli, vi consiglio una piccola trattoria molto ma molto tipica, “da Pitone”; è tutto da gustare, l’ambiente piccolo e rustico, la cucina molto più che locale, di prim’ordine le paste acqua e farina fatta in casa assolutamente speciali (noi abbiamo provato i cazzutelli con la cicoria e i caclitti con asparagi ma molto dipende dalla stagione, fra poco sarà il tripudio degli orapi ad esempio), speciale e abbondante il baccalà fritto e ci hanno detto altri clienti anche la tagliata, uniche le crostate sempre sfornate da poco, davvero indimenticabile e fuori dal consueto “l’oste”, burbero e scostante all’apparenza, ma se avete la fortuna, (sfortuna per lui ovviamente) di trovare il locale vuoto, provate a scalfire la sua scorsa ruvida, vi sorprenderà una personalità volitiva, ciarliera, un sorriso ampio, quasi timido e sempre sincero ed esplicativo di ciò che pensa e ancora di più un mare di idee e pareri frutto della sua vita in giro per il mondo. Così si ferma il tempo, montagna, cibo e contatto con la gente del posto.